lunedì 11 giugno 2012

Sui "Lavoricidi" marchigiani e il destino

La copertina di Lavoricidi, del collettivo Zaratan


Leggo e non riesco a credere ai miei occhi, mentre la tipa (m'era venuto fuori un refuso con la o al posto della i. Appropriatissimo) ansima in Je t'aime Moi mon plus. L'Italie è proprio un paese di merde se costringe intere generazioni a studiare senza costrutto.
Ma questo già si sa: ormai se ne parla fin troppo e in modo che più scontato non si può.
Invece in Lavoricidi c'è la vita vera di quindici giovani e non nati e cresciuti nella stessa zona in cui il destino (beffardo? ma no) mi ha portato. Le Marche basse sono atrocemente belle e come tutte le creature troppo desiderate sanno essere davvero crudeli con chi vorrebbe restarci e magari non limitarsi a contemplarne le forme seducenti.
Non l'ho ancora finito e questa non è recensione (ma la scriverò, va scritta, questo è sicuro), tuttavia qualcosa devo dirla e pure con una certa urgenza.
Ho infatti avuto un'illuminazione. Inquietante e raggelante.
Non potrò mai trovare alcunché qui, anche ammettendo che mi metta a cercare un'occupazione alternativa al mio freelancing poco incisivo.
Inconsciamente dovevo averlo già capito ed è ben per questo motivo che il più possibile mi tengo lontana dalle inserzioni. Leggendo il libro del collettivo Zaratan, però, ne ho avuto la certezza assoluta.
Sapete perché? Perché sono vecchia e troppo formata.
La prima caratteristica fa sì che non mi possano proporre neanche uno stage (come scrive la bravissima Diletta Fabiani, una delle autrici dei quindici "Lavoricidi" in salsa marchigiana, va detto alla francese: Serge Gainsbourg sarebbe fiero della mia pronuncia). La seconda spiega invece perché le aziende locali alle quali mi sono proposta come blogger aziendale non abbiano neanche per un minuto preso in considerazione il mio cv.
Perché se a giovani laureati, come tali sono la maggioranza dei protagonisti dei racconti (dell'orrore) raccolti nel doloroso volume, propongono 400-500 euro di paga, quando va bene, per mansioni che ne richiederebbero cinque volte tanto (almeno) e se qualcuno di loro arriva a cancellare dal curriculum di essere in possesso di laurea pur di lavorare come commessa in una grande catena, io dovrei, intanto, farmi un lifting e/o ritoccare l'anno di nascita e in secondo luogo dovrei andare a scuola di dialetto e impararlo bene (benissimo) per farmi accettare come un'indigena.
Non aggiungo altro.
No. Un'ultima cosa debbo dirla.
La creatività aiuta assai a sopportare frustrazioni macrocosmiche come quelle narrate dai miei amici (in spirito) marchigiani. Finora ho letto testi di buona (in qualche caso buonissima) letteratura, quindi, vi prego, finché potete, fate le commesse, i camerieri, i venditori porta a porta, ma continuate a scrivere.
Continuiamo a scrivere.
Un giorno qualcuno di voi (noi?) passerà alla storia.
Direte voi: una magra (magrissima) consolazione per chi non sa più come arrivare a fine mese, ma ognuno ha un suo destino e tutto sommato, a guardarlo da fuori, nessuno di voi ne ha uno banale.
Coraggio.

2 commenti:

  1. E' un porco di mondo schifoso, il nostro! :-)

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    1. SCHIFOSISSIMO, te l'assicuro.

      però che belle le colline...

      buona giornata, nonostante tutto

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I commenti sono moderati: vi ringrazio per la pazienza e per l'affetto. Vostra Madamatap