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martedì 31 maggio 2016

Fermo 85 e il saggio perfetto

Porto San Giorgio, le zumbere/i al saggio della Fermo 85 al Palasavelli

Già all'arrivo ho capito che sarebbe stato un grande evento. Mai stata prima al palazzetto dello sport de Lu Portu, sono stata accolta da un assembramento di auto piuttosto notevole.
Mi avevano anticipato, in effetti, che la Fermo 85 organizza saggi spettacolari, ma, davvero, non mi aspettavo di rimanerne così colpita.

Ogni anno l'associazione sportiva sceglie un tema attorno al quale far ruotare tutti i numeri degli allievi iscritti ai propri corsi, agonistici e non.
Sulla pedana morbida (un tantino faticosa, per usare un eufemismo), si sono così alternati bambini, ragazzi e adulti, parlando con il corpo dei "Mesi e le stagioni", il titolo scelto per il saggio edizione 2016.

Bene: era tutto, oserei dire, perfetto. Musiche, costumi, esecuzione degli esercizi, presentazione (a cura di Daniela Gurini di Tvrs), coordinamento tra backstage e on stage. 
Immaginavo di intenerirmi guardando i più piccini, ovvio, ma non avevo idea che tra loro vi fossero così tanti talenti della ginnastica

Che energia, che concentrazione. Davvero un gran regalo poterli guardare dal vivo mentre si lanciavano (letteralmente) sulla scena.

Vorrei realizzare una galleria fotografica, ma essendoci molti minorenni, aspetto di ricevere l'autorizzazione.
Ciò che conta, comunque, è quello che sono riusciti a trasmettere anche a una come me e forse, presumo, anche ai genitori che si assiepavano sulla ringhiera pur di afferrare qualche volteggio dei loro figli.

Bisogna buttarsi nella vita, partecipare, mettersi alla prova, cercando però di non smarrire mai le giuste proporzioni di ciò che si fa e di ciò che si è.

Non possiamo essere tutti campioni, però non c'è niente di peggio di chi rinuncia prima dell'impresa, di chi non rischia almeno una fettina di se stesso.

Sono piuttosto sicura che i partecipanti al saggio dell'altro giorno lo sappiano ed è per questo motivo che hanno restituito a noi che li guardavamo un'immagine gioiosa e armoniosa.

E se qualcuno è ancora lì che si mangia le mani per il passo sbagliato o il tempo fuori sincrono, beh, ormai è andata. Di certo chi li ha preparati saprà aiutarli a sbollire l'eventuale rabbia o frustrazione.

Ha detto bene, a un certo punto, la presentatrice (accidenti com'era alta rispetto a me!): se quei ragazzi sono riusciti a dare il meglio l'altra sera, il merito non è solo dei bravi insegnanti della Fermo 85 che li hanno preparati fisicamente e corazzati psicologicamente, ma è soprattutto di quegli stessi genitori che si assiepavano sulla balaustra, perché stanno credendo in loro.

E se anche un giorno dovessero fare tutt'altro, non importa. L'altra sera sono stati grandi e lo saranno ancora. Come dimostrano i "grandi" del gruppo di Zumba, che hanno chiuso il saggio con una scarica di adrenalina pura che si porteranno dietro... fino alla lontanissima vecchiaia!

In bocca al lupo e buon futuro a tutti voi.
A tutti noi...

I saluti finali di insegnanti e soci della Fermo 85: arrivederci all'anno prossimo!



mercoledì 2 dicembre 2015

Raccontare ciò che si sa. E ricominciare



Non immaginavo che facendo stretching mi venisse una gobba così, ma comunque non mi posso lamentare. Sono stata immortalata in questa guisa ieri sera nella mia amata palestra, durante la lezione con Rita Sacripanti, l'insegnante di fitness più tosta che io abbia mai conosciuto. Una maga, oltretutto, degli abbinamenti tutina-calzini-fasciapercapelli-scarpedaginnastica.

L'autrice dello scatto è Tiziana Bastiana, l'altra insegnante appartenente all'Associazione sportiva Fermo 85, che di solito incontro il lunedì e spesso il giovedì (in alternanza con Rita), la sola che sia riuscita a farmi volteggiare (all'incirca) e salire e scendere dallo step senza eccessiva ansia.
Alle mie ore nella palestra di Fermo ho già dedicato almeno un paio di post, per cui cerco di non ripetermi.

Ieri e l'altro ieri, però, ho finalmente messo in pratica un proposito che maturavo da tempo: fotografare la lezione, le donne che dividono con me gli allenamenti e le istruttrici. Soprattutto loro.
Il tutto (o meglio: una piccola parte del reportage nipponico che ultimerò domani sera con la lezione di zumba, che io non frequento, ma che è assai meritevole d'attenzione) finirà nella mostra natalizia all'ex mercato coperto della cittadina del Girfalco.

Ho avuto l'idea giovedì scorso, praticamente quasi in zona Cesarini (la mostra si apre il 12 dicembre prossimo), dopo giorni durante i quali mi scervellavo nel tentativo di escogitare qualcosa di originale.
Ballonzollando a ritmo di musica, mi si è accesa la lampadina di Archimede: falla semplice, racconta ciò che sai.

E così sto facendo, anche con un certo orgoglio e anche se l'impegno e la fatica ci sono ugualmente, quasi non sembra di provarli.

Più o meno gli stessi sentimenti ho avvertito stamattina pagando l'ultima rata che sancisce definitivamente l'acquisto del mio appartamento.
Sono, come potete immaginare, preoccupata per il conto che via via scende, ma al contempo sento fortemente di aver fatto la cosa giusta.

Quindi mi allungo, oltre i miei 152 centimetri, respiro più profondamente e attendo con fiducia il domani.
E a chi crede che lasciare il giornalismo significhi mollare, beh, non è così.
Significa con coraggio ricominciare.
Da qualche parte qualcuno sta sorridendo con me.

Hop hop...

mercoledì 28 gennaio 2015

Andre Agassi, la palestra e il mio motto del 2015: prima senti, poi (forse) pensa


Abbiamo posato per questa fotografia giovedì dell'altra settimana.
Per chi non dovesse riconoscermi subito, dico solo che di sicuro non sono tra le ragazze (e l'unico uomo del gruppo, l'insegnante di yoga Raul) in piedi.

Due giorni prima ci avevano esortato a indossare la maglia nuova della società sportiva Fermo 85, di cui faccio parte ormai da quasi cinque anni. Non riesco ancora a credere che sia passato già così tanto tempo, anche perché i primi due anni (o giù di lì) non mi sarei mai immaginata quanto quelle ore che trascorro lì, mescolata a signore e ragazze delle età più disparate, sarebbero diventate per me boccate preziose di ossigeno.
Chi mi conosce lo sa, perché ne parlo spesso: sono grata alle istruttrici Tiziana Bastiani e Rita Sacripanti (e pure a Raul, di cui, ahimè, ignoro il cognome) per avermi spinta a prendermi di nuovo cura del mio corpo.

Ho sempre amato fare sport all'aperto: a tennis, purtroppo, sono riuscita a giocare solo poche volte dalla scorsa estate durante la quale mi ero ripromessa di ricominciare e tuttavia adesso so con certezza che, volendo, potrei farlo.
Adoro sentire i miei muscoli che lavorano, il cuore che accelera e il sudore che m'imperla la schiena. Mi piace constatare che riesco ancora a piegarmi piuttosto bene e che, tutto sommato, riesco a cavarmela pure con le coreografie di step e aerobica, verso le quali, da ragazza, provavo una certa ostilità.

Tutto è cominciato, del resto, quando ero molto piccola, forse verso i 7-8 anni: cicciottella com'ero, mia madre pensò che potesse farmi bene muovermi un po', così mi iscrisse a un corso di ginnastica ritmica. Ero veramente negata: ricordo ancora, a essere sincera, come si fa il passo composto, ma detestavo che mi si dicesse di muovermi a comando.
Eppure fisicamente ero assai sciolta. Lo giuro, non sto scherzando: riuscivo a scendere in spaccata facendo giusto un salto nell'aria. Sapevo portare su soprattutto la gamba sinistra come vedevo fare da Heather Parisi.
Bastava però che mi si dicesse di seguire dei passi pre-costituiti perché andassi in crisi trasformandomi in un legnaccio inamovibile.

Ero pure dotata di un discreto scatto, come ebbi modo di sperimentare sulla pista d'atletica dello stadio Angelini di Chieti Scalo qualche anno dopo il fallimento con la ginnastica ritmica. Vinsi una gara, anche, ma non c'era storia: gli altri bambini erano più piccoli, non potevo che essere la più forte.

Al liceo, infatti, quando mi spedirono a gareggiare, fallii miseramente: persi l'equilibrio direttamente sui blocchi di partenza e uscii subito dalla corsia. Ho sempre detestato i rumori forti: il bang della pistola, probabilmente, doveva avermi messo paura prima ancora di essere esploso. Ma non cerchiamo scuse patetiche, soprattutto a distanza di ben trent'anni.

Poi c'è stato il tennis, di cui ho già parlato in un post.
Qui dico solo che ho appena finito Open in inglese, l'autobiografia di Andre Agassi, aggiungendo che avrei dovuto leggerlo anni fa per fare pace con la mia ansia da prestazione. Anche perché, a differenza del grandissimo campione di Vegas, come lui chiama la sua città natale (anche se il padre è di origini iraniane), a me nessuno ha mai chiesto di tirar fuori un talento che non ho mai sicuramente mai posseduto, a differenza sua e della grandissima (e strafichissima) moglie Steffi Graf.

E tuttavia consiglio Open a tutti quelli che amano lo sport e le sfide in generale: per affrontarle, dice in soldoni Andre e il suo ghost writer (che il campione ringrazia pubblicamente nella post-fazione, il che me lo ha reso decisamente più simpatico di come lo percepivo inizialmente quando, snobisticamente, dicevo di NON volerlo leggere), bisogna smettere di pensare e imparare, invece, a sentire.

Se pensi di vincere, non vinci; se senti che qualcosa può accadere, accadrà, se non proprio quella, magari un'altra, persino più importante.

Per lui, nella versione romanzata del suo passato di campione riluttante, smettere di giocare ha coinciso con una vera e propria rinascita. L'Agassi di oggi, un anno e poco più di me, è un uomo completo, e lo si vede anche nelle interviste. Per quanto siano costruite (gli americani sono dei maestri nelle fiction: pure la più scalcinata è più credibile di una qualsiasi soap nostrana), basta guardare Andre negli occhi per capire che, diamine, è uno felice ed è talmente felice che non si vergogna di farcelo vedere. Beato lui. E beata Stefanie (come preferisce farsi chiamare la sua bionda consorte) e i loro bambini.

Come tutti gli esseri umani, avranno (e provocheranno) di certo scazzi, dolori, frustrazioni, meschinità, etc etc, ma guardandoli insieme nell'intervista alla BBC che linko sotto, ho avvertito la stessa naturale energia vitale che percepisco ogni volta che vado in palestra, nella "mia" modesta palestra di provincia, tra signorine e signore di cui ignoro quasi tutto, ma con cui divido i miei sorrisi e la mia fatica ogni qual volta ci si chiede di affrontare un esercizio più complicato.

Quando sono lì dentro, mi sento forte come una campionessa, felice come una bambina e libera come una donna.

Approfitto perciò della foto di gruppo, dolcemente mossa, per l'ennesimo grazie alla vita.
Il presente è nebuloso (fuori fa un freddo cane), ma gli stati di grazia non hanno niente a che fare con i nostri pensieri e i nostri giudizi, spesso emessi a prescindere, con quella tipica presunzione di noi esseri umani.

Sentire è molto più potente. Eccome se lo è. Ogni tanto va fissato sulla carta, giusto per non scordarselo.
Non vedo l'ora che sia domani, ore 19.15.



lunedì 24 settembre 2012

Come Jane Fonda... più o meno


Oggi, purtroppo, ho la febbre. Un febbrone da cavallo, penserete voi. Per quanto mi riguarda è proprio così, dal momento che mi ammalo molto raramente. Ho... trentasette e uno, udite udite, ma è come se fossi a un passo dal delirio. Temo peraltro di esserlo già abitualmente, ma lasciamo andare.
La foto che vedete in alto, del resto, potrebbe già bastare a capire in che condizioni sono.
Tempo addietro ho realizzato che tra mia madre e la Jane Fonda regina del fitness degli anni Ottanta c'era una certa somiglianza. Chi mi conosce superficialmente ravvisa a sua volta una certa comunanza tra la prima e la sottoscritta (e d'altra parte sono figlia sua e a chi altri potrei mai rassomigliare?).
Sillogisticamente, credo, ho anch'io qualcosa della Jane. Preciso subito che non si tratta delle gambe (le mie sono, diciamo così, più forti e un tantino più corte).
Quel che più ci accomuna, in ogni caso, è proprio la passione per la ginnastica, rinvigoritasi in me da quando vivo nelle Marche, dopo una lunga fase di stop che mi aveva appesantito nel fisico e nell'anima, e via via mai più lasciata. Da un paio d'anni, in particolare, frequento la palestra simil-comunale di Fermo (la cosiddetta palestra del Coni, anche se in verità è gestita da una cooperativa che mi ha dotata persino dell'asciugamano "aziendale"), che mi piace assai per l'ambiente assolutamente nazional-popolare.
A frequentare i corsi di ginnastica, siamo donne di tutte le età e immagino ceto sociale, dai 14 anni alla sessantina e passa. La frequenza scema con l'avvicinarsi della bella stagione o del Natale, però le assidue come me restano comunque numerose.
Non so spiegare perché, ma quando sono lì che salgo e scendo dallo step o dopo, quando guardo le forti luci al neon mentre ci massacrano con gli addominali, è come se vivessi un processo mistico, come se finalmente uscissi da me stessa per diventare tutt'uno con il tappetino, confortata e stimolata dalle tante gambe all'aria che vedo intorno a me.
Mi piace mescolarmi alla massa di donne in tute da ginnastica e osservare, tra una pausa e l'altra, il gruppo delle ragazzine del liceo, le più carine del corso, che chiacchierano tra loro canticchiando le brutte canzoni dance che ci danno il ritmo degli esercizi e poi conversare di inezie con una giovane laureanda con cui abbiamo stretto una forma di amicizia da quando ci siamo accorte di essere tra le poche fanno la doccia lì.
Insomma: aspetto di solito con grande entusiasmo le ore di ginnastica settimanali, che si tengono il lunedì, il martedì (giorno dell'accumulo maggiore di acido lattico, per via dei circuiti della tostissima insegnante sessantenne... altro che Jane Fonda) e il giovedì.
Oggi, ahimè, sono costretta a saltare (il lunedì c'è Tiziana, la bionda energetica insegnante con una inesauribile fantasia per le coreografie), ma spero proprio di rimettermi in fretta.
C'è infatti una sensazione davvero impagabile che provo solo alla fine, quando, dopo la doccia e la parziale (accidenti a me) asciugatura dei capelli, mi rimetto in macchina e percorro i pochissimi chilometri che mi separano da casa. In quel breve tratto, mi sento completamente in pace con me stessa, pronta ad affrontare qualsiasi sfida, in una sorta di limbo psicofisico carico di benessere.
Ecco. Sarà questa la vera ragione che ha spinto la Jane a darsi all'aerobica. Ancora adesso (almeno fino a un paio d'anni fa sicuramente) insegna ginnastica agli anziani a distanza, con quel sorriso tipico delle vere maestre del muscolo tonico, capaci di farti sentire più magre e più flessuose già dopo una sola sequenza di glutei o di squat.
E se davvero (ma sarà vero?) che un po' le somiglio, mi auguro soprattutto di conservarne lo spirito. A differenza sua, infatti, non credo che potrò (né forse vorrò, ma mai dire mai) ricorrere al chirurgo estetico, al momento del prolasso inevitabile.
Ma qui posso dirlo: mia madre è ancora piuttosto piacente (checché ne dica lei), quindi se è vero che buon sangue non mente...
La vedremo. Per forza. Il tempo corre. Accidenti se lo fa.